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Corvi

mercoledì 2 febbraio 2011

Interno giorno, ore nove e qualcosa. Location: il bar-tabacchi-sala slot di fronte alla nostra agenzia.

Stamattina faceva un freddo cane, quindi avevo deciso che per iniziare bene la giornata sarebbe stato assolutamente necessario bermi una cioccolata calda, e visto che i croissant sembravano avere una cera migliore del solito, ne ho preso uno alla marmellata. Colazione in solitaria, Alessandro era in giro per appuntamenti e non sarebbe rientrato che nel pomeriggio. Mentre mi godevo quella slavina di calorie, tenevo un occhio alla pagina Spettacoli della gazzetta e uno alla nostra vetrina dall’altra parte della statale, nel caso arrivasse un cliente. Raro che qualcuno si palesi prima delle dieci ma non si sa mai.

E infatti dopo qualche minuto, mentre ero ancora alla ricerca di qualche traccia di marmellata in quel croissant apparentemente traditore, ho visto una specie di corvaccio nero col cappotto sbirciare attraverso i vetri dei nostri uffici, proteggendo gli occhi con la mano per vedere meglio. Non era una cliente: anche di schiena era impossibile non riconoscere il profilo di Liliana, la titolare della più agguerrita tra le agenzie della zona. Quindi ho ingollato di fretta l’ultimo pezzo di croissant e sono uscito dal bar puntando il dito alla figlia del proprietario dall’altra parte del bancone – La prossima volta che me ne dai una vuota al posto di una con la marmellata, mi devi un cappuccino, col cacao e col disegnino, ok?

Ho attraversato la statale intercettando al volo Liliana, che aveva ormai abbandonato la speranza di trovare qualcuno in ufficio e stava per salire sulla sua piccola cabrio.

– Buongiorno! – le ho detto con un sorriso gioviale, sperando di non avere pezzi di pasta sfoglia incastrati tra i denti, evenienza che avrebbe confermato ancora una volta la radicale differenza tra quelli che si credono primi della classe e noi.

Ci siamo scambiati qualche generico convenevole mentre armeggiavo con le chiavi, e siamo entrati.

– Bello il nuovo ufficio – mi dice ammirando i muri color zabaione attraverso le lenti degli occhiali da sole. – Tu sei quello nuovo vero? Il cugino di Alessandro.

– Confermo. E tu sei Liliana, giusto?

– Bravissimo! Allora, ti spiego subito perché sono passata da voi stamattina. Posso sedermi?

– Ma certo!

Sembrava davvero un corvo. Cappotto nero, completo nero, stivaletti di cuoio nero, capelli neri, occhi marrone scuro, e una abbronzatura che sembrava quasi l’effetto dell’esposizione troppo ravvicinata a un esperimento nucleare andato meglio del previsto. A contrasto, i denti erano di un bianco scintillante.

– Allora, immaginerai perché sono qui. Sei tu che qualche giorno fa hai fatto vedere la villetta dei signori Mannarino a quella coppia col bambino piccolo, quello adottato che non parla l’italiano?

– Sì, sono stato io. E so che poi ce li hai portati anche tu, esatto?

– Ma sei preparatissimo! Ecco, sono venuta qui per trovare una soluzione che vada bene a tutti, e te lo dico col cuore, soprattutto a voi!

Ora, per chi è digiuno di cavilli immobiliari da codice civile, spiego dove sta il problema: il codice civile sancisce che il cliente che vede per la prima volta una casa con l’agenzia X, anche se poi va a vederla mille altre volte assieme ad altre agenzie (Y, Z o J, fate voi) le provvigioni spetteranno sempre e comunque per intero all’agenzia X.

E il corvo nero appollaiato davanti a me rappresentava l’agenzia Y, quella che rischiava di restare a bocca asciutta. Qualche giorno prima avevamo scoperto che la signora in nero qui davanti a me stava cercando di fregarci, arrivando perfino a istruire i clienti su come evitare di pagarci le provvigioni legalmente dovute. Fortunatamente i clienti avevano sentito odore di bruciato e rifiutato la proposta, e ci avevano raccontato tutto.

Fallito il piano A, il corvo ha deciso di passare al piano B. Appoggiandosi allo schienale e accavallando le gambe, ha iniziato a sbrodolare frasi sul valore della collaborazione, buttandoci dentro roba tipo “se non ci diamo una mano tra di noi” e “la nostra etica ci impone”, eccetera. Alla fine della sceneggiata mi ha sorriso scoprendo un poco le zanne e inclinando la testa. – Quindi, cosa dici se facciamo a metà? Contenti voi, contenti noi, e contenti i clienti!

– Ma non avevi detto che la soluzione doveva andare bene soprattutto a noi? – le ho chiesto sorridendo.

– Ma certo, nel senso che vogliamo evitarvi la rottura di scatole di dover ingaggiare un avvocato per strappare la vostra percentuale al cliente. E poi guardiamoci in faccia, hanno i soldi contati. Una volta comprata la casa e pagate le provvigioni a noi, la vedo difficile che riusciate a spillargli anche la vostra quota, avvocati o meno. Scusa eh, ma credimi, rischiate di prenderlo in quel posto.

Ricapitolando, la signora aveva legalmente torto e aveva anche palesemente cercato di fotterci, ma aveva comunque avuto la faccia tosta di presentarsi qui come la più magnanima tra le magnanime, per offrire a noi un’ancora di salvezza della quale avrebbe avuto bisogno lei. Un perfetto esempio di strategia Shock and Awe usata, eserciti a parte, più o meno inconsciamente anche da una vasta schiera di sbruffoni, che però non ha funzionato.

E quindi con tutta la gentilezza che mi era possibile, le ho detto che non se ne parlava: noi saremmo andati per la nostra strada, e poi quello che sarebbe successo, sarebbe successo. Ovvero, scritto tra le righe ma con caratteri al neon lampeggianti che neanche Las Vegas, che in quel posto non saremo stati di certo noi a prenderlo.

Se ne è andata dall’ufficio salutando invero molto sgarbatamente, e in un battito d’ali era già a bordo della cabrio, occhiali da sole inforcati, e carica d’odio. Mio cugino le sta molto simpatico, anzi onestamente credo che vorrebbe pure farselo. Io credo invece che non entrerò mai nella sua top-10, e forse neppure nella top-40. Ma me ne farò una ragione.


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