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Un nuovo collega

lunedì 21 aprile 2014

Un paio di settimane fa ci siamo incontrati al ristorante del centro commerciale qui vicino, e abbiamo chiesto un tavolo un po’ riservato, visto che dovevamo parlare d’affari. La cameriera ha sollevato un sopracciglio.

Era un open-space in un centro commerciale, attraversato da parte a parte da un corridoio largo tre metri. Praticamente era una festa dell’Unità indoor, e noi cercavamo un “tavolo riservato”?

Senza dire una parola ci ha indicato col mento un tavolo a caso, in vista esattamente come tutti gli altri. Ci siamo guardati in faccia per vedere se eravamo tutti d’accordo. Cenno d’intesa, abbiamo ringraziato e ci siamo seduti.

Eravamo noi tre soci e lui, il primo e unico candidato a diventare nostro collaboratore.

Era piccolo, ma non nel senso di basso, tutto piccolo. Sembrava un uomo normale ma con la scala sbagliata. Aveva ventisei anni ma parlava con piglio sicuro di un direttore di banca cinquantenne, e sembrava essere solo parzialmente affetto dalla Sindrome del Chihuahua detta anche del Pesce Palla. Sapete, quella che ti fa assumere una postura da wrestler e camminare sulle punte a petto gonfio per compensare il deficit volumetrico. Capelli radi e sottili già con un accenno di chierica, e l’espressione di uno che ha appena mangiato un limone particolarmente aspro.

Al momento stava lavorando per un’agenzia indipendente molto conosciuta, dall’altra parte della città, ma voleva cambiare. Il suo capo era uno stronzo che se la faceva con i peggio personaggi della zona, e si intascava provvigioni in nero di nascosto. Il che, intuivo, non era un problema in sé: quello che lo mandava ai matti era il fatto che non dividesse la pagnotta con lui.

A un certo punto della discussione, Limoncino ha appoggiato la coca cola media davanti a sé, che nelle sue mani sembrava grande come un trofeo da caccia alla volpe, ci ha guardato a uno a uno e poi, serio – Ho sentito in giro che siete in gamba, bene. È un buon punto di partenza. Perché io sono un cavallo di razza, e corro per vincere. Se lavoriamo come dico io, non ce n’è più per nessuno.

BAM! Questo era il rumore che hanno fatto i suoi coglioni quando li ha sbattuti sul tavolo. Figurativamente, s’intende. Siamo rimasti tutti in silenzio annuendo, ognuno coi suoi pensieri in testa.

Ecco, Limoncino a me ha iniziato a stare sul cazzo da quel preciso momento. Ma era innegabile che avesse dialettica, presenza scenica, e che sapesse il fatto suo.

Non abbiamo accettato immediatamente. Gli abbiamo detto che ci saremmo presi qualche giorno di riflessione ma che lo avremmo tenuto al corrente al più presto. Stronzo sembrava stronzo, ma se era bravo la metà di quello che diceva, le nostre casse avrebbero presto smesso di segnare la riserva. Così, dopo solo una decina di giorni da quel pranzo, Limoncino è entrato a far parte della famiglia.


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